lunedì, giugno 29, 2015

New York 3: MoMA e Greenwich Village

Domenica 7 giugno

Dopo Harlem visitiamo il MoMA che raccoglie un impressionante quantità e varietà di dipinti e sculture per un periodo che va della fine dell'ottocento agli anni '80 del novecento.
Oltre a Warhol c'è Van Gogh, Lichtenstein, Dalì, Pollock, Picasso, Boccioni, De Chirico, Modigliani e altri italiani che non conoscevo come Michelangelo Pistoletto e Pino Pascali con la loro arte povera.

Trascorriamo diverse ore a girovagare per il MoMA. È molto difficile rinunciare a soffermarsi davanti a tali capolavori. Tuttavia, nel pomeriggio, decidiamo di saltare l'ultimo piano che ospita un'esposizione monografica su Yoko Ono. Ma quando raggiungiamo G, D e A, che avevano lasciato il MoMA prima di noi, veniamo a sapere che anche quel piano era molto interessante. E soprattutto i video con John Lennon. Senza soffermarmi sui dettagli dirò solo che quei video diventeranno uno dei tormentoni del viaggio.

Proseguendo insieme verso la quinta strada ci troviamo di fronte la cattedrale di San Patrizio dove l'arcivescovo di New York, Timothy Dolan, sta celebrando la messa speciale del Corpus Domini.
Tutto sembra organizzato quasi come se si trattasse di un evento aziendale: con volantini descrittivi dell'evento e grossi schermi appesi a ogni colonna della cattedrale neogotica sui quali il registra mostra le immagini della celebrazione.
Ci rechiamo quindi insieme al Rockefeller Center dove noto la curiosità di questi agrumi disposti al centro delle aiuole.
Prendiamo quindi la metropolitana per raggiungere il Greenwich Village. E lì, all'uscita della metro c'è un tubista che suona con un cartello con su scritto "fuck Republicans". E sotto l'arco della Washington Square c'è un pianista che suona un pianoforte a coda e un ballerino nero che balla e coinvolge il pubblico. E oltre la piazza c'è una chiesa romanica.
New York è unica ma anche molteplice. Un po' Londra e un po' Napoli. Un po' Amsterdam e un po' Parigi. Un po' Pechino e un po' Roma. E come quest'ultima ai tempi dell'impero è un coacervo di contraddizioni: servi della gleba e signori della Terra, razze e lingue diverse, religioni e cibi diversi. È tante città, passate, presenti e future che convergono in una. E per il resto è unicamente New York.

Concludiamo la serata passeggiando per il Greenwich Village e per cena andiamo in un ristorante vietnamita dove troviamo una cameriera scortese, fatto abbastanza inconsueto in questo paese, e cibo mediocre. Forse la folla di giovani che ci aveva fatto presagire bene è lì solo per i prezzi bassi.



A colloquio di lavoro con un algoritmo: le leggi della robotica

Alla fine dell'edizione delle 8:45 del GR3 di oggi c'era un'intervista a un esperto di informatica/robotica. Non ho capito bene chi fosse. Parlavano della notizia dell' "algoritmo che sostituirebbe l'essere umano nei colloqui di lavoro" (questa qui credo. Probabilmente presa, come spesso succede, dalla stampa americana).
A conclusione dell'intervista ho sentito l'esperto pronunciare parole simili a queste: "Non dobbiamo demonizzare le macchine perché, come ci ha insegnato Asimov con le tre leggi della robotica, una macchina non può mai far del male a un essere umano"

Spero di aver capito male. Volevo riascoltare il GR, ma sul sito che ho trovato la puntata non c'è. Qualcuno ha sentito l'intervista o sa come recuperarla?

giovedì, giugno 25, 2015

Per gli americani che credono sia una loro invenzione: la pizza

Alcuni fatti riportati qui: La Pizza Margherita - Wikiradio del 24/06/2015.

La parola pizza in forma scritta compare per la prima volta più di 1000 anni fa, nel 997, in un contratto di locazione di un mulino che si conserva nell'archivio del Duomo di Gaeta.

Il pomodoro arrivò in Europa dall'America intorno al '500 ma ci vollero altri duecento anni prima che lo si cominciasse a coltivare e a mangiare. 
I napoletani, spinti dalla fame, erano più propensi a sperimentare cibi al limite del commestibile e così furono tra i primi a mangiarlo e presto lo usarono per condire la pizza già venduta nei vicoli ma fino ad allora bianca.

Sembra che la primogenitura della Margherita non sia veramente quella da tutti ricordata. Ma sappiamo bene che spesso la tradizione è più importante della realtà.

La pizza in America l'hanno portata i pizzaioli napoletani che, verso la fine dell'ottocento, cominciarono ad affollare le strade di Little Italy "con la 'fornacella' sulla testa e lanciando per le vie il loro richiamo".

Nonostante ciò devo confessare che, se si va nei posti giusti, anche negli Stati Uniti si può provare una buona pizza. Non sarà come quella delle migliori pizzerie di Napoli ma di certo è molto meglio dell'imitazione che i nostri connazionali propongono qui nelle terre teutoniche. Sempre che io in questi 16 anni non mi sia perso qualche pezzo importante.


mercoledì, giugno 24, 2015

Preannunciazió preannunciazió: Carnevale della matematica di luglio

Il 14 luglio l'87-esima edizione del Carnevale della matematica (nome in codice: “il merlo becchetta”) sarà ospitata da me su Pitagora e dintorni. Il tema sarà "Matematica e rinascimento", dove "rinascimento" è inteso in tutti i suoi significati: etimologici e non. Ma, come sempre, tutti i contributi fuori tema andranno benissimo lo stesso.


Lista dei Carnevali presenti, passati e futuri

domenica, giugno 21, 2015

New York 2: Harlem e Midtown

Sabato 6 giugno

Per raggiungere Harlem dall'aeroporto Zucchero e io prendiamo cinque mezzi: autobus, treno, due metropolitane e un taxi. Il che non è particolarmente rilassante quando si è carichi di valigie e dopo un viaggio intercontinentale. Ad aspettarci al Malcolm X Boulevard c'è il padre di Obora (la proprietaria della casa) che abbiamo avvisato telefonicamente. Non è un appartamento di lusso ma è decente e fornito di tutto ciò di cui abbiamo bisogno.
Dopo l'arrivo del resto del gruppo partiamo in direzione Midtown.
Lungo la strada ci imbattiamo in un negozio della NBC e, non riuscendo a frenare gli istinti consumistici (che volete? è proprio la città a suscitarli), compriamo due magliette della nostra serie preferita degli anni '90. Poi ci spostiamo verso l'Empire State Building. Si può visitare Roma per una settimana e non vedere er cupolone? Così decidiamo di levarci subito il pensiero e, dopo il volo intercontinentale e la via crucis verso Harlem, decidiamo di scalare pure il grattacielo.
Senonché, passando nelle vicinanze di Time Square, non riusciamo a resistere al richiamo delle moderne sirene: mega insegne luminose animate, variopinte e ipnotiche.
Riusciamo però a liberarci presto e a salire sul grattacielo da cui ci godiamo la vista di Manhattan a 360°. Io l'avevo già scalato nel lontano 2000 ma gli altri no. Ed, eroicamente, lo rifaccio con piacere.




Domenica 7 giugno

Per la mattinata avevamo programmato il MOMA ma la sveglia antelucana da fuso orario posticipato e un malinteso sul programma dell'Abyssinian church di Harlem spinge me e Zucchero a uscire alla ricerca di un gospel. Ma, invece di questo, troviamo una sorta di gruppo di preghiera e terapia di gruppo. Decliniamo gentilmente dicendo ai due signori neri con vestito bianco elegante che cercavamo altro. Il girovagare mattutino ci ha comunque regalato begli scorci di Harlem.
Da quello che capisco attraverso letture e osservazioni Harlem è passato da insediamento olandese, da cui il nome "Nieuw Haarlem", a sito di fattorie, per essere poi sede di un "rinascimento di Harlem" e diventare anche uno dei centri newyorchesi del jazz; quindi uno dei luoghi più pericolosi di Manhattan e infine luogo del "nuovo 'rinascimento', con una migliore qualità della vita, più lavoro per tutti, meno criminalità e uno spiccato ritorno alla diffusione della cultura afroamericana. Questo sta portando a un processo di gentrificazione di molte zone che sta facendo crescere i costi delle case e soprattutto degli affitti, creando disagi notevoli alla popolazione residente."
Insomma, in altre parole, si possono trovare dei paralleli anche tra Harlem e Trastevere e forse anche con il Pigneto. Quindi potremmo dire che il Pigneto è un po' l'Harlem de noantri. 

mercoledì, giugno 10, 2015

New York 1

Il viaggio comincia all'insegna del controllo aleatorio (random check) per il quale un colpo di fortuna, probabilmente influenzato dalle impressioni di una cara signora addetta al controllo del biglietto, mi fa selezionare. Oltrepassata infatti la signora un giovane poliziotto mi affianca e mi chiede di seguirlo. Così, invece di trascorrere quell'ultima mezzora a rilassarmi sorseggiando un cappuccino, vengo sottoposto a un'accurata ispezione con tanto di estrazione e palpazione delle solette delle scarpe e controllo della bustina con creme e medicinali. Le due operazioni vengono eseguite nell'ordine suddetto. Spero almeno che i guanti indossati fossero stati sostituiti dopo il passeggero precedente.

L'unica nota sul volo con la Singapore Airlines è che noi viaggiavamo nella quinta di cinque classi. (Che però non costava meno di 1000 lire). E che noi siamo stati degni di gettare uno sguardo solo alla quarta classe mentre scendevamo e ho visto che i posti erano sormontati da una sorta di baldacchini. Non oso immaginare che cosa avessero a disposizione i passeggeri delle tre classi superiori. Circolano voci secondo cui i passeggeri della prima avrebbero a disposizione letti e docce.

Giunti a New York dobbiamo passare per le forche caudine dell'immigrazione. Per Zucchero è la prima volta negli USA ma lei viene ammessa immediatamente senza problemi mentre la guardia giudica la mia foto troppo dissimile da me e mi spedisce al controllo approfondito. Dopo qualche minuto d'attesa mi chiamano a gesti come si chiamerebbe un cagnolino. Mi scrutano. Parlottano tra di loro.
- It was seven years ago...
- Scusate, ma non potreste controllare le impronte digitali appena prese con quelle che avevate preso le altre volte che sono venuto qui?
Mi pare una cosa molto logica da fare. Se coincidono, a meno di un trapianto di dita, non posso essere un'altra persona. Mi ignorano totalmente. È come se non avessi aperto bocca. La guardia sbadiglia: - Oggi ho poca energia avrei bisogno di un caffè - dice. Mi pare un atteggiamento volto a provocare. A farmi perdere la calma. Ci tiene altri dieci minuti. Mi chiama di nuovo a gesti e mi restituisce il passaporto senza proferir parola. - Possiamo andare? - chiede Zucchero. Il tipo annuisce. "Avete il diritto di porre qualsiasi domanda e di parlare con un supervisore", c'è scritto sui manifestini di cui è tappezzata l'area. Ma l'impressione che mi sono fatta è che le domande ammesse siano ben poche e che le conseguenze potrebbero essere poco piacevoli se uno dovesse porre quelle sbagliate. Ad ogni modo, alla fine mi sono chiesto se la mia bella coppola variopinta possa aver contribuito a suscitare diffidenza.

martedì, giugno 02, 2015

Incomunicabilità

Nella mia esperienza di emigrante ho incontrato molte persone che, non avendo mai vissuto l'esperienza di dover dialogare in un'altra lingua, non si rendono conto neppure della difficoltà rappresentate dall'apprendimento in età adulta della "punta dell'iceberg" e non capiscono perché usi espressioni inconsuete, strane, a volte scorrette, a volte eccessivamente corrette. Non si rendono conto che quello che si esprime è una semplificazione dei propri pensieri plasmata su un vocabolario ridotto e approssimativo. Non capiscono che parlare la loro lingua, per proseguire la metafora del gelo, è come camminare sul ghiaccio sottile.
Queste considerazioni che discutevo ieri con Zucchero sono riaffiorate oggi durante la lettura dell'articolo di Licia Corbolante: Iceberg della cultura.
E la considerazione aggiuntiva odierna è stata: se tali persone non si rendono conto delle differenze delle punte dei nostri rispettivi iceberg potranno mai rendersi conto delle differenze sommerse?
Riporto una citazione dall'articolo di Licia Corbolante.

"La punta dell’iceberg rappresenta gli aspetti visibili e più superficiali di una cultura. Hanno regole palesi, codificate e non ambigue: sono ad esempio lingua e leggi.
Tutti questi aspetti sono però manifestazioni esterne di aspetti nascosti della cultura, che costituiscono la parte principale e invisibile dell’iceberg.
Sotto la superficie troviamo aspetti meno oggettivi che possono creare incomprensioni nella comunicazione interculturale. Hanno regole inespresse di cui siamo consci solo quando vengono infrante, come ad es. le tradizioni, la percezione del tempo, la variabilità nell'uso dei saluti, la cortesia, l’uso dei registri e altri aspetti sociolinguistici."

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